Antonio Franzetti ha coltivato per anni, soprattutto nel ventennio in cui ha amministrato Gemonio, la passione della scultura come un vizio privato. Solo in anni recenti ha iniziato a mostrare i frutti maturi di una ricerca lunga e appassionata: anche per chi lo conosceva bene è stata una scoperta inattesa. E oggi viene messa finalmente in mostra, in un luogo che più pubblico non potrebbe essere, un'opera di quest'uomo a cui Gemonio deve molto. Il suo vizio privato diventa così una virtù pubblica: collocata all'ingresso di Gemonio, quest'opera lo indica come il paese della scultura. (...)



Ermanno Morosi,  gennaio 2019   (leggi tutto)  








(...) Al titolo di alcune sue opere Antonio Franzetti ama accostare citazioni di autori da lui amati: è il caso della scultura del 2013 “Silenzi”, illuminata nel suo senso dalla poesia di Salvatore Quasimodo ed è subito sera. Questo testo, che ha la brevità densa di una folgorazione, illumina in realtà il senso dell’opera di Antonio Franzetti nella sua interezza e, accostata ai versi di Vittorio Sereni, sottotitolo di un’altra scultura del 2011 “La gioia”, rivela l’intima convinzione dell’artista dell’esistenza di una dimensione altra, estranea e luminosa, «come una ferita» da cui l’uomo è attraversato e trafitto. Un continuo rimando, straziante a tratti nella sua pressione ostinata, ad una dimensione altra dell’umano. (...)



Sara Bodini e Miriam Stella Magnani,  gennaio 2019   (leggi tutto)  






Conversazione con Antonio Franzetti  


(...) Al centro dell'opera di Antonio Franzetti è la figura umana che viene modellata quasi in opposizione alla rappresentazione eroico-monumentalistica: anche nella sua raffigurazione della vittoria si insinua la domanda: “Vinto o vincitore” è significativamente il titolo di un'opera del 2012.
ß Franzetti rappresenta la figura umana, ed è certamente un artista figurativo, ma non certo nella modalità di un naturalismo celebrativo delle “magnifiche sorti e progressive”, sebbene in quella di un intenso espressionismo. Le sue figure appaiono modellate a grandi gesti, per aggiunte che non vanno a colmare i vuoti, semmai a sottolinearli, creando superfici frastagliatissime,volte a evocare la complessità del vivere e del sentire dell'umanità. (...)



Consuelo Farese,  luglio 2016   (leggi tutto)  






Le radici profonde non gelano  


(...) La scultura di Antonio Franzetti – per quest'occasione abbinata a molti disegni inediti – a noi è parsa impregnata di questo suono poetico, di questa narrazione evocativa, enciclopedica e, infine, di questo canto di speranza.
La materia sagomata e foggiata a comporre uomini e donne - martiri, demoni, mendicanti, baccanti, santi - è attraversata da un'apertura, da una spaccatura che si dice espressionista ma non si riduce evidentemente a questo.
Allo spettatore non si presenta solo una figura violata o definitivamente abbattuta, non solo contorsioni scarnificate o tormenti esistenziali. È sottointeso un balsamo vitale a lenire un'eventuale introspezione ferita.
Nel lavoro scultoreo risuona un cantico intonato su un corpo pieno e presente, simbolo di civiltà, chiamato a fare da controcanto alla riflessione sulla precarietà della condizione umana.
Piuttosto icone dell'umano vivere che sagome definite e certamente identificabili come un ritratto, i personaggi di Antonio Franzetti sono in grado di richiamare anche i temi del desiderio, del viaggio del figlio di Laerte, dell'attracco alla darsena.
L'arte di Franzetti offre l'opportunità di dissertare sull'uomo e sull'esperienza universale, è alimentata da una linfa vitale che mantiene costante la temperatura e il battito anche durante l'inverno. (...)
Clara Castaldo,  dicembre 2015   (leggi tutto)  






Antonio Franzetti  


È un artista che affronta la vita con passione, visibile nel suo sguardo da sognatore soprattutto quando lo si “spia” mentre crea, immerso nel suo laboratorio estremamente semplice e spartano. Qui le sue idee si rincorrono, abbozzate, ripensate e poi concluse. Analizza la figura umana, i suoi sentimenti, emozioni e stati d’animo, mostrando la precarietà dell’esistenza. Le sue opere fanno riflettere, ci parlano di tormenti, paure ma anche di fiducia. Fa un’analisi della realtà, della complessità della natura umana e di tutto quello che gli uomini devono affrontare: fatica, sofferenza, dubbio, lotta, ma alla fine si può trovare una speranza. (...)

Antonio Franzetti è un espressionista, perché tramite la sua arte dà corpo ad emozioni e sensazioni profonde, tanto quanto gli squarci irregolari nei busti dei suoi soggetti. Rappresenta l’uomo, ma si allontana dalla copia estetica delle forme, per cercare quello che è nascosto e intimo, in modo estremamente personale e difficilmente eguagliabile. Concludo dicendo che le sue opere possono essere gradite o non gradite, possono essere comprese o risultare incomprensibili, ma sicuramente è indiscutibile che sono rappresentazioni che non lasciano indifferenti. Infatti, regalano suggestioni, raggiungendo lo scopo che l’arte per definizione ha: emozionare.
Miriam Stella Magnani,  giugno 2014   (leggi tutto)  






La scultura lacerante di Franzetti  


L’artista, che a Brera è stato allievo di Giovanni Paganin e Marino Marini e ha inoltre potuto contare sulla stima di Bodini per il suo lavoro, utilizza la figura umana per enucleare la precarietà dell’esistenza, elaborando una plasticità fortemente interiorizzata dalla quale, attraverso le linee frammentate nelle definizioni delle superfici, appare un’inquieta visione esistenziale. Dentro le masse scolpite dal vissuto, risuona però la dignità dell’esperienza umana che si riflette in una tormentata capacità di riflessione.

Ettore Ceriani,  2012  






A sorpresa una nuova stagione  


“Ho scritto alcune favole, naturalmente frutto di invenzione. Ma ho sempre invidiato quelle autentiche. E talvolta le ho incontrate.
Questa, di Antonio Franzetti, mi appare davvero bella e di alto profilo morale (...)

C’era una volta un giovane, che studiava a Brera e da grande voleva essere artista. Dopo il diploma ecco la vita e per essere autonomo e seguire l’inclinazione all’arte, andò a insegnarla a scuola, per tutta la carriera. Ma comprese, o meglio si convinse, di esserne testimone e insegnante: e così decise di non tentare nemmeno di esserne protagonista. Molti dipingono, scolpiscono o scrivono a tempo perso, convincendosi persino di essere grandi. Lui invece rinunciò, per non sentirsi dilettante. (...)

E silenziosamente è tornato alla creta che aveva eluso ma conservato. Ha ricucito nell’animo lo spazio del tempo intercorso e ha rinnovato un dialogo interrotto eppure mai dimenticato. Prometteva bene allora e corrisponde oggi alle promesse. Nel frattempo si sono susseguite espressioni e tendenze, meteore e personalità: ma Franzetti è rimasto fedele ai suoi maestri, Giovanni Paganin e Marino Marini. E ancora oggi esprime concretezza di materia e sentimento. Intende la scultura nella correlazione di volume e spazio, tensione di linee nella vibrazione emotiva. Esordisce tardi causa impegni istituzionali precedentemente assunti ma si propone con dignità di requisiti e autenticità di contenuti. (...)

Ma Antonio non deve sentirsi clandestino in una ribalta estranea. Possiede dati e meriti per esserne attore di diritto. Occorre solo alzare il sipario della riservatezza.

Claudio Rizzi,  settembre 2007   (leggi tutto)  






Antonio Franzetti, la materia come parola  


Sono scelte ponderate anche se onerose. Scelte di vita che, nella rinuncia a una grande prospettiva, esaltano il rispetto e la dignità d’altra professione.(...)
A Varese, a ritirarsi dalla scena pubblica, abdicando a un dialogo che pure avrebbe arricchito l’animo e l’esperienza, è stato Antonio Franzetti, scultore per natura e, nell’arco di molti anni, in silenzioso segreto. (...)

Eppure, nello scorrere dei decenni, non si è mai sopito il cromosoma, così come non si è affievolito quel patrimonio esistenziale, dedizione all’umanità e senso di caducità, che aveva metabolizzato dal suo maestro prediletto, Giovanni Paganin, suo insegnante negli anni formativi del Liceo. All’Accademia, poi, era allievo di Marino Marini, certamente personalità forte e artista di grande caratura, ma le vene dell’animo, in Franzetti, si diressero sempre a Paganin, il primo dialogo, l’incontro fondamentale. Antonio Franzetti, religioso per estrazione culturale e per intimo credo, riscontrava in Paganin, nella sua visione dell’immanenza precaria, della fragilità e della colpa, una religiosità di pensiero che collegava le sponde laiche alle tesi di fede, non solo intessendo colloquio ma sintetizzando nell’unicità la natura umana. Questa misura espressiva, che non trascende mai l’equilibrio e il rispetto delle diverse prospettive, è divenuta comune denominatore o metro di coerenza nel lavoro di Franzetti, che spazia con vigore dialettico dalla citazione di metafora classica alla introspezione esistenziale della solitudine o del dolore, sino all’immagine di religiosità che, tuttavia, assume massimo valore attraverso la laicizzazione del simbolo. (...)

L’umanità è al centro del mondo di Antonio Franzetti, nella ricerca della misura e nella consunzione del tempo. Ma i toni della scultura non affondano mai nell’angoscia o nella sofferenza, conservano comunque una luminosità intima che palesa il supporto della fede e lascia intuire risorse di riscatto. (...)

La pelle della scultura diviene corpo e fremito come verità. Luci e ombre si contrappongono spontaneamente nelle asperità del modellato e l’irruenza della materia risuona come parola. Tanto da credere evidente che, nei lunghi anni di silenzio, a Franzetti non sia mancato mai il dialogo.

Claudio Rizzi,  settembre 2009   (leggi tutto)  








Una lettura delle opere di Antonio Franzetti

I personaggi di Antonio Franzetti, prigionieri o precipitati, contorti o abbandonati, raccontano molto delle loro vite e ci restituiscono l’azione delle loro vicende. Ma soprattutto ci assomigliano, nei loro tormenti come nelle gradazioni della gioia. Non sono mai semplici titoli o didascalie, sono forme assediate dallo spazio. L’ambiente preme su di loro, le comprime, trasfigurandole nelle varie tonalità del dramma. (...)

Tra il sedimento religioso dello splendido «Adamo» (1966) e i sentimenti profondamente umani della solitudine e della prigionia ci sono tutta una gamma di emozioni: l’estasi della caduta, il gesto vittorioso dell’eroe, la stanchezza del giusto, la felicità del campione. Personaggi non a caso feriti, il cui petto è rotto da due forze, quella pandemica e quella celeste, quella materiale che crea attrito e quella intellettuale che contribuisce alla bellezza. (...)

Lavori studiati con precisione, sostenuti da una solida sintassi. Una qualità dello sguardo non comune che si accende in dettagli perturbanti, depistanti. A valere, infatti, non è solo ciò che si racconta, ma anche l’incanto della messinscena drammaturgica. (...)

Alberto Pellegatta,  settembre 2009   (leggi tutto)






Antonio Franzetti  


Ho avuto modo di conoscere Antonio Franzetti nel 2000, quando era ancora sindaco di Gemonio, in occasione della mostra dedicata a mio padre, lo scultore Giovanni Paganin, allestita negli spazi del Museo Civico “Floriano Bodini”. Fu in quell’occasione che mi raccontò di essere stato allievo, nel 1962, di Giovanni Paganin, all’epoca professore di Plastica e Figura disegnata al Liceo artistico di Brera. (...)

Solo parecchi anni più tardi ho avuto occasione d’incontrare Antonio Franzetti in qualità di scultore nel suo studio di Gemonio tra forme in gesso e bronzetti. Benché l’ambiente fosse diverso, per un attimo, tuttavia, mi era sembrato di entrare nello studio paterno, ma non erano tanto le pareti o l’arredo o gli strumenti di lavoro sparsi sui ripiani a dare il senso di questa affinità o parentela, bensì le opere che gremivano lo studio appoggiate per terra o sui trespoli. Quelle superfici ruvide e corrose, quelle incisioni che segnavano profondamente le forme, quelle fratture fortemente sfrangiate, che a livello del costato passavano da parte a parte le figure, sembravano essere uscite dalle sue mani. (...)

Se in Paganin la spazialità sta tutta dentro la figura ed è si può dire in nuce, in Franzetti invece si esplicita in maniera diretta e si evidenzia in quei cubi o parallelepipedi che fanno da quinta o da supporto alle figure, i cui corpi si torcono in tutte le direzioni, quasi ad esplorare gli estremi confini di quello spazio. Vedi in tal senso: “Eroe” o “Narciso” o “Abbandono” o “Atlante” o “Icaro”, forse la più disarticolata delle sue figure insieme a “Saltatore d’ostacoli”. (...)

Le donne e gli uomini nudi di Franzetti, contorti e disarticolati, sorretti o compressi dagli oggetti geometrici che fanno loro da quinta, sono colti dall’artista nell’istante in cui stanno compiendo un’azione. Fuori da un Tempo cosmico o storico, sono tuttavia inseriti in un micro-tempo, un tempo minimo, l’istante in cui si compie l’azione: un’azione minima, spesso quotidiana, che la scarnificazione della scena, ridotta all’essenzialità geometrica, sottrae al fluire continuo e contingente del reale, universalizzandola. (...)

Patrizio Paganin,  settembre 2009   (leggi tutto)  







La figura umana, il paradigma della grande scultura italiana, torna in Antonio Franzetti con una carica espressiva di forte intensità emotiva.
Le sue figure tradiscono nel modellato la veloce gestualità che diventa forma e colore: perché la rugosità della materia e la successione delle masse ancora grezze diventano ombra e luce, in un alternarsi chiaroscurale che è anche movimento.
Alcune opere si librano nello spazio con disinvolta leggerezza, simulando o un volo o una caduta; opere aperte, dunque, che si avvalgono di contrappunti e ritmi: se la mano poggia a terra, assorbendo in sé il peso del corpo, lo sguardo si protende in alto in una tensione verticistica che richiama un duetto tra terra e cielo.
La presenza di una frattura nella corporeità stessa della materia richiama sia una non sopita sofferenza esistenziale sia la volontà di attraversare la superficie per avventurarsi in nuovi orizzonti.
In molte si legge una voluta deformazione, degli arti soprattutto, che senza sovvertire l’equilibrio delle masse e dei volumi, sembra concentrare un’energia primitiva e ancora pulsante.

Luciana Schiroli,   luglio 2009







Contorti, doloranti, feriti,scarnificati. I personaggi di Antonio Franzetti parlano, senza mezze misure, di tormenti, di solitudini, di prigionia esistenziale.
L’artista ha lavorato per molti anni nel silenzio del suo studio di Gemonio, riascoltando idealmente i suoi grandi Maestri: la preziosità vitalistica di Marino Marini, la segreta carica umana di Giovanni Paganin e l’amicizia fraterna di Floriano Bodini.
L’essenza della religiosità, pur tanto diversificata, non risulta mai fine a se stessa nella caratterizzazione plastica molto particolare: lo scultore compone la fragilità umana dell’esistere nell’immanenza della fede, commisurata al destino dell’uomo in un equilibrio formale sempre coerente.
Oggi Franzetti si affaccia alla scena dell’arte contemporanea dialogando, nel suo gesto fortemente vibrato nella materia, con i tumulti del nostro tempo, tra introspezione drammaticamente viva e sacralità dell’essere umano.
Dentro il tempo storico e, insieme, fuori dalla dimensione temporale.
Una sorta di Prometeo che invita alla metafora, nella nudità corporea che cela un’ inquietudine indifesa davanti alla vita.

Fabrizia Buzio Negri,   febbraio 2010







La scelta di campo è per una realtà marginale, talvolta sofferta, contorta, una scultura che permetta "di riconoscere il rapporto diretto dell'artista con la vita, con le cose, con le difficoltà". La reppresentazione è sempre a tutto tondo, i fenomeni e le figure sono antiretoriche, decostruiti, eppure così veri. (...)

La figura ha raggiunto autonomia di campo e di proposizione alla lettura, si evidenzia nella focalizzazione e si accentua nella dinamica della suggestione. La dote evocativa di Franzetti proviene certamente dalle forti radici civili e religiose ma si alimenta anche nell'etica del suo insegnante prediletto, Giovanni Paganin e nella sintesi di forze e volumi di Marino Marini, suo insegnante all'Accademia di Brera. Ne deriva un particolare connubio espressivo, legame tra fede e laicità, trascendenza e immanenza, che riconosce l'essenza divina ma ribadisce la natura umana. (...)

Clara Castaldo,  aprile 2011   (leggi tutto)







Scultura anti-retorica la sua, che nega assolutamente la monumentalità. Il genere è narrativo, anche nella metafora. La suggestione evocativa si nutre di una plasticità scarnificata, aggredita da forti diversificazioni emozionali, tra l’atto senza tempo dell’eroe e la rassegnazione del vinto, la solitudine nella frenesia del quotidiano e l’esempio divino dell’umanità sopraffatta. (...)

Espressionista lo è di certo, sente la violenza della vita che traduce nella materia con mille lacerazioni. La via cristiana indica la salvezza, da raggiungere superando la valle di lacrime dove l’umanità vessata si ritrova per l’estremo riscatto. Un discorso artistico, quindi, che porta i segni di lancinanti dolori, che mai spengono la fiamma della speranza. (...)

Fabrizia Buzio Negri,  febbraio 2012   (leggi tutto)